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Gabriele Baschetti (Commercialista in Rimini) – g.baschetti@skema.it
Fabio Pari (Avvocato in Rimini) – f.pari@skema.it
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La CTP di Milano, con la sentenza n. 06-12-2017, n. 6797, ha stabilito che “IRPEF, IRAP e IVA sono tributi periodici e, pertanto, ad essi si applica il termine prescrizionale quinquennale ex art. 2948, n. 4, c.c. In difetto di dimostrazione da parte dell’Ufficio in ordine al compimento di ulteriori atti interruttivi successivi alla cartella di pagamento, quindi, risulta tardiva la notificazione del preavviso di fermo amministrativo notificato quando ormai è spirato il suddetto termine prescrizionale quinquennale”.
La pronuncia dei giudici milanesi riveste particolare importanza poiché espressione di un filone giurisprudenziale emergente che consente di meglio specificare, in materia di riscossione di crediti erariali (IRPEF, IRES, IRAP e IVA), l’applicazione dei principi generali stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione con la ormai celebre sentenza n. 23397/2016, la quale avrebbe, secondo alcuni commentatori, introdotto il principio generale di prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali.
L’analisi della questione non può che partire dall’art 2953 c.c., il quale dispone che “I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Sulla portata di questo articolo si è registrato un ampio contrasto giurisprudenziale risolto solamente con l’intervento delle Sezioni Unite nel 2016.
Secondo parte della giurisprudenza le cartelle sarebbero dei c.d. titoli “paragiudiziali” in quanto per esse, al pari di quanto accade per quelli giudiziali, è previsto un termine perentorio per la relativa opposizione davanti al giudice ordinario, “con la conseguenza che i medesimi diventano definitivi in caso o di omessa opposizione o di opposizione tardiva, in quanto proposta dopo la scadenza del termine e tale dichiarata dal giudice a conclusione del relativo giudizio” (Cass. n. 9944/1991 e Cass. n. 10269/1991).
Con la sentenza della Suprema Corte n. 4338/2014, la quale ha ripreso la sentenza n. 17051/2004, è poi stato affermato che “una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione dell’opposizione alla cartella esattoriale (come avvenuto nel caso di specie), non è più soggetto ad estinzione per prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale di che trattasi e ciò che può prescriversi è soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi, riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio judicati ai sensi dell’art. 2953 c.c.), trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all’art. 2946 c.c.”
Per la prima viene sancito dagli ermellini che la mancata opposizione ad una cartella di pagamento non produce solo gli effetti sostanziali del giudicato, ma è addirittura idonea a convertire il regime della prescrizione da breve a lungo.
A censurare tale orientamento è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la sentenza n. 23397/2016, ha stabilito che in base all’art. 2953 c.c. si può verificare la conversione della prescrizione da breve a decennale soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale, con la conseguenza che l’art. 2953 c.c. deve ritenersi applicabile solo ove il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non sia più l’atto amministrativo, bensì un provvedimento del giudice divenuto definitivo.
Ferma dunque l’inapplicabilità del termine di cui all’art. 2953 c.c. per la cartella non opposta, resta quindi da stabilire come determinare il termine di prescrizione delle singole cartelle.
La risposta è suggerita dalla stesse Sezioni Unite, le quali richiamano l’art. 2946 c.c., il quale dispone che “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
Nella sentenza si legge che, nel caso di cartelle aventi ad oggetto contributi INPS e INAIL, tale diversa disposizione legislativa esiste ed è rappresentata dall’art. 3, commi 9 e 10, L. n. 335 del 1995, il quale dispone la prescrizione quinquennale per le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria.
Viene dunque espresso il principio secondo cui, in assenza di giudicato, la prescrizione della cartella segue la normativa propria del tributo in essa contenuto e, in assenza di tale previsione, debba applicarsi in via residuale il termine decennale di cui all’art. 2946 c.c..
Il suddetto principio ha creato parecchio fermento tra molti addetti ai lavori, i quali hanno subito speso litri di inchiostro digitale per affermare che “tutte le cartelle si prescrivono in cinque anni”.
Orbene, a parere degli scriventi, tale conclusione è quantomeno forzata, nonché probabilmente suggerita da recenti sentenze di merito (ex multis: CTR Lazio n. 276/2018 CTP Savona 129/2017; CTR Lazio n. 1050/2017; CTR Toscana n. 2224/2017) che hanno annullato, invocando asetticamente la sentenza delle SS.UU., cartelle aventi ad oggetto tributi erariali per decorso del termine quinquennale, “dimenticandosi” che tale sentenza ha affermato in primo luogo l’inammissibilità dell’equazione sentenza = cartella non opposta in ordine all’art. 2953 c.c.; stabilendo poi in seconda battuta, ed con particolare riferimento al caso concreto ad essa sottoposto, che non fosse applicabile nemmeno l’art. 2946 c.c. poiché per i contributi INPS e INAIL la legge prevede un termine prescrizionale di cinque anni.
Per quanto concerne i tributi erariali non è dunque sufficiente invocare la sentenza delle Sezioni Unite , dovendo l’interprete del diritto compiere un ulteriore sforzo per evitare l’applicazione dell’art. 2946 c.c., ossia cercare ricondurre tali fattispecie, così come accade per i tributi locali (ex multis Cass. n. 4962/2018), nella disciplina dell’art. 2948 n. 4 c.c., il quale prevede la prescrizione in cinque anni di “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
Compito peraltro di non facile realizzazione, posto che l’orientamento storico della giurisprudenza della Corte (Cass. n. 4283/2010; Cass. n. 2941/2007) ritiene che “per la mancanza di una “causa debendi” continuativa, è stata esclusa l’applicabilità della prescrizione breve al credito erariale per la riscossione di imposta sul valore aggiunto (IVA) (pure da pagarsi con cadenza annuale od inferiore) sul rilievo che la prestazione tributaria, stante la autonomia dei singoli periodi di imposta e della relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il credito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi”.
Tra le sentenze di merito aderenti a questo indirizzo si veda CTP di Messina Sez. VI, 20-09-2016 (conforme anche CTR Sicilia Sez. XXIX, 15-09-2015) “In base all’art. 2946 c.c., i tributi erariali, IRPEF, IRAP, IVA, si prescrivono nel termine di dieci anni dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell’ultimo atto interruttivo, tempestivamente notificato al contribuente. Ciò perché a questi crediti non può applicarsi la prescrizione breve di cinque anni, prevista dall’art. 2948 n. 4 c.c. per le cd. prestazioni periodiche. I crediti erariali, infatti, non possono considerarsi prestazioni periodiche, in quanto derivano anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi”.
Invero, il dato emergente è rappresentato dal fatto che negli ultimi mesi la corti di merito stanno depositando sempre più sentenze in senso contrario, cominciando a creare un nuovo orientamento a vantaggio del contribuente.
In merito, si veda la sentenza in commento emessa dalla CTP di Milano, la quale ha stabilito che “IRPEF, IRAP e IVA sono tributi periodici e, pertanto, ad essi si applica il termine prescrizionale quinquennale ex art. 2948, n. 4, c.c. In difetto di dimostrazione da parte dell’Ufficio in ordine al compimento di ulteriori atti interruttivi successivi alla cartella di pagamento, quindi, risulta tardiva la notificazione del preavviso di fermo amministrativo notificato quando ormai è spirato il suddetto termine prescrizionale quinquennale”.
Tra le altre sentenze aderenti a tale indirizzo si segnalano CTP Lodi n. 24/01/17 e CTP di Reggio Calabria n. 2634/2014, nella cui sentenza – pioniera in merito – si legge che “nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”. Per le imposte dirette ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: lo stesso articolo 7 del D.P.R. n. 917 del 1986 (anche nella novella posta dal D.Lgs. n. 344 del 2003) recita che l’imposta è dovuta per anni solari e, quindi, ogni anno. Ne discende che, sia pure in presenza dei relativi presupposti, l’imposta diretta deve essere pagata “periodicamente” a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole valide e efficaci per ogni anno futuro. (C.T.P. Milano 20.11.2004 n. 207). Lo stesso dicasi per la dichiarazione annuale relativa all’I.V.A. (imposta della presente fattispecie) in cui il presupposto del tributo nasce anche trimestralmente ma la dichiarazione è unica: quindi perfettamente rientrante nella disposizione codicistica di cui all’art. 2948 n. 4 c.c..”
Pertanto, auspicando che tale orientamento trovi sempre maggior vigore e conferme anche tra i giudici di legittimità, preme sottolineare che, ad oggi, non vi è alcuna sentenza che preveda espressamente la prescrizione incondizionata di tutte le cartelle nel termine dei cinque anni, potendo questa essere sostenuta solo quando la legge lo disciplini espressamente per il tipo di tributo in questione e, come visto, spesso non senza qualche sforzo interpretativo.
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